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"LANGUISHING"

Immagine del redattore: Stefano GuccioneStefano Guccione


È senza alcun dubbio lo stato d’animo più chiacchierato delle ultime settimane. Chi di voi ultimamente non ha sentito parlare di “Languishing”? Non si tratta di depressione nè di burnout, ma è stata coniata come l’emozione del 2021.

Come detto non si tratta di uno stato d’animo già documentato e presente all’interno del nostro caro DSM V, bensì di una nuova tendenza in crescita in questo periodo che scaturisce dagli strascichi del lungo lockdown in corso, iniziato ormai più di un anno fa.

Il termine “languishing” non è casuale e si riferisce a ciò che in italiano intendiamo con “languire”, ossia trovarsi in uno stato di abbattimento fisico o morale, accompagnato da sofferenze e da privazioni. Quasi come una “galera emotiva”.

Tale termine è stato coniato dallo psicologo Corey Keyes, in seguito allo stupore dovuto a quante persone nonostante non fossero depresse non stessero comunque bene. Le sue ricerche ci rivelano che potenzialmente chi oggi sta soffrendo di questa sensazione, è possibile che tra 10 anni soffrirà di depressione; ed il pericolo più grande secondo lui è lo stato di totale inconsapevolezza da parte del soggetto, che non riuscendo a più a sperimentarsi come un tempo, si lascia scivolare poco par volta in una depressiva solitudine, rendendosi conto solo quando sarà troppo tardi di quanto gli stia accadendo.

Un rimedio a tutto ciò c’è, e si sta studiando. Innanzitutto è fondamentale prendere consapevolezza di quanto ci sta accadendo dando come sempre una forma ed un nome alla nostra sofferenza, dopodiché ciò che si suggerisce è cercare di costruirsi delle routine, un vero e proprio “flow” ossia delle attività che ci coinvolgono a tal punto da permetterci di lasciarci andare nello spazio e nel tempo, arginando quel senso di passività dovuto appunto al “languishing”. Lo scopo finale per noi Psicologi e per chi chiedere aiuto sarà quello di passare dal “languire” al “fiorire”.

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